Che cos'è uno Zombie? Non sarò certo io a rispondere in maniera esaustiva e definitiva a questa domanda. Ciò che posso fare però, è cercare di arricchire ulteriormente il nostro sapere su questa creatura mitica e reale allo stesso tempo. Lo Zombie esiste. Non facciamoci illusioni. Se poi sia realtà o metafora, materia o spirito, rappresentazione o oggetto... beh... lo vedremo.
Che significa "geografia dello Zombie"? La risposta è semplice, la sua argomentazione lo è di meno. Andiamo al sodo: esiste un rapporto diretto fra il nostro amico antropofago, infetto, in tutte le sue forme e manifestazioni e la città? Esiste e come! E questo rapporto è molteplice e variegato. Il nostro obiettivo sarà dunque quello di chiarire come lo Zombie contemporaneo (ma non solo), nonostante le sue origini arcaiche, esotiche, afro-americane, sia divenuto una creatura profondamente urbana.
Ma andiamo per gradi. Quando parliamo di città non dobbiamo pensare ad un semplice ammasso di palazzi, case, strade, piazze, ferrovie, ecc. La città è molto di più; è la nostra stessa società, è il nostro modo primario di occupare la superficie della terra. Per capire questo, basta pensare all'aggettivo "urbano", e a tutto ciò che esso comporta. La città è un'entità sia fisica che mentale, fattuale e spirituale, forma e sostanza. La città è la nostra civiltà (e l'etimologia comune di "città" e "civiltà" non mente), è la nostra cultura, è la nostra politica, è la nostra economia. Il nostro mondo è urbano poiché urbane sono tutte le pratiche che lo regolano.
Chiusa la parentesi. In che modo, dunque, l'antropofagia sarebbe una pratica urbana? I morti viventi sono realtà e metafora allo stesso tempo, e la fascinazione di cui quest'idea ha goduto e gode ancora, forse dipende anche da questo. Felix Guattari e Gilles Deleuze, filosofi d'oltralpe, parlano dello Zombie come "unico e vero mito della modernità". Non è un caso che altrove sia proprio la città ad essere considerata come tale. Due miti dell'epoca moderna dunque, a partire dalla seconda metà del secolo XIX, a partire dal periodo della seconda rivoluzione industriale, quando le città esplodono, le industrie proliferano, e la tecnologia prende uno slancio non ancora terminato. Ma di fronte ad un'idea di progresso, di fronte ad un'assoluta fiducia nella tecnologia, nella scienza, nelle sconfinate possibilità dell'uomo, si va delineando sempre di più un sentimento che pare remare in direzione contraria. Il progresso, la tecnologia, hanno di certo migliorato il nostro modo di vivere, ma hanno fatto anche ben altro. Due guerre mondiali (oltre a tante altre), persecuzioni, genocidi, violenze, bombe atomiche e incidenti nucleari, squilibri socio-economici... e chi più ne ha più ne metta... Una visione double face di un mondo spaccato tra fiducia ed orrore, tra futuri radiosi ed apocalissi, tra tecnofilia e tecnofobia... tra progresso e morti che camminano tra di noi.
Proprio in questo contesto la figura dello Zombie si distacca dalle sue appartenenze etnico-spirituali, legate alla cultura africana trapiantata ad Haiti, per diventare metafora tutta occidentale di una nuova degenerazione dell'individuo. Del resto in un mondo di contrasti irrisolti, cosa mai potrà competere con l'idea di un corpo senza anima che cammina sbilenco in cerca di cibo...ossimoro degli ossimori... perché è bene ricordarlo, la cultura occidentale mai e poi mai potrà rinnegare il suo rapporto con il Cristianesimo... e questo ci insegna fin troppo bene che sarà sempre l'anima a sopravvivere al corpo... mai viceversa! Portata rivoluzionariamente dissacrante... fascinosa forse anche per questo... lo Zombie si trasforma e si ritrasforma di continuo seguendo le evoluzioni/involuzioni del nostro mondo che sempre si è dilettato con i banchetti antropofagi (rimandi politico-economici del capitalismo e dei suoi orrori, ma prima ancora in maniera "sconcertante", anche cristiani. "Questo è il mio corpo. Prendetene e mangiatene tutti").
Come faremo dunque ad uscire dalla confusione? Come faremo ad orientarci in mezzo ad un'orda sempre crescente di morti viventi? Con calma, pazienza e spirito di osservazione (oltre ad un oggetto abbastanza robusto e adatto a mettere k.o. il cervellino dello Zombie che ci barcolla dietro!).
Se la modernità, abbiamo visto, si connota di un'insana dose di schizofrenia distruttrice/creatrice, le città ne sono una saggia prova... e l'essere cittadini nell'anno di grazie duemilaedodici è innanzitutto una condizione di schizofrenia costante, e antropofaga aggiungerei... (cane mangia cane? Uomo mangia uomo piuttosto). Ecco allora che forse lo Zombie come mito urbano prende forma: che altro sarebbe se non il cittadino nella sua forma più violenta, brutale e autodistruttiva? Deprivato di ogni razionalità, sopraffatto dalle sue fobie, dai suoi tormenti, dal suo ossimorico essere capitalista, antropofago e fratricida. Lo Zombie è il mito del quotidiano orrore contemporaneo, ne è la perfetta incarnazione.
Metafora di una società intera che si burla nell'immaginare la sua apoteosi (o la sua fine definitiva... come preferite) in modi sempre nuovi e creativi... un'apoteosi/apocalisse già in atto... e senza voler deludere i catastrofisti per diletto o per professione, non sarà è lo tsunami, non è il big-one, il vulcano, l'asteroide, l'alieno, la peste o quant'altro si possa immaginare... no. Spiacente. La fine non sarà. La fine è già e cammina in mezzo a noi. Ha già anticipato ogni più rosea visione apocalittica. I morti viventi camminano, e la fine della nostra società, almeno così come l'abbiamo costruita a partire dalla Mesopotamia, si configura ben al di qua dell'orizzonte. Da troppo tempo abbiamo smesso di essere umani, da troppo tempo ci siamo privati di ogni forma di razionalità, di ogni forma di civiltà. Il nostro essere zoon politikon è solo un ricordo di tempi passati che tiriamo in ballo di tanto in tanto giusto per rassicurarci. Gli Zombie camminano parallelamente ad ogni nostro passo. Gli Zombie siamo noi. Che vi piaccia o meno... lo Zombie altro non è che il nuovo agghiacciante stato della condizione umana contemporanea, di cui tutti noi, volenti o nolenti, siamo vittima.
Meglio dunque lasciare da parte per un attimo la fantasia... e cominciare a lavorare seriamente. Molte sono le cose da chiarire, perché forse solo la conoscenze ci salverà... forse... ma per il momento: bon appetit... les jeux sont faits...
Volume 1: Introduzione alla geografia antropofaga
Che significa "geografia dello Zombie"? La risposta è semplice, la sua argomentazione lo è di meno. Andiamo al sodo: esiste un rapporto diretto fra il nostro amico antropofago, infetto, in tutte le sue forme e manifestazioni e la città? Esiste e come! E questo rapporto è molteplice e variegato. Il nostro obiettivo sarà dunque quello di chiarire come lo Zombie contemporaneo (ma non solo), nonostante le sue origini arcaiche, esotiche, afro-americane, sia divenuto una creatura profondamente urbana.
Ma andiamo per gradi. Quando parliamo di città non dobbiamo pensare ad un semplice ammasso di palazzi, case, strade, piazze, ferrovie, ecc. La città è molto di più; è la nostra stessa società, è il nostro modo primario di occupare la superficie della terra. Per capire questo, basta pensare all'aggettivo "urbano", e a tutto ciò che esso comporta. La città è un'entità sia fisica che mentale, fattuale e spirituale, forma e sostanza. La città è la nostra civiltà (e l'etimologia comune di "città" e "civiltà" non mente), è la nostra cultura, è la nostra politica, è la nostra economia. Il nostro mondo è urbano poiché urbane sono tutte le pratiche che lo regolano.
Chiusa la parentesi. In che modo, dunque, l'antropofagia sarebbe una pratica urbana? I morti viventi sono realtà e metafora allo stesso tempo, e la fascinazione di cui quest'idea ha goduto e gode ancora, forse dipende anche da questo. Felix Guattari e Gilles Deleuze, filosofi d'oltralpe, parlano dello Zombie come "unico e vero mito della modernità". Non è un caso che altrove sia proprio la città ad essere considerata come tale. Due miti dell'epoca moderna dunque, a partire dalla seconda metà del secolo XIX, a partire dal periodo della seconda rivoluzione industriale, quando le città esplodono, le industrie proliferano, e la tecnologia prende uno slancio non ancora terminato. Ma di fronte ad un'idea di progresso, di fronte ad un'assoluta fiducia nella tecnologia, nella scienza, nelle sconfinate possibilità dell'uomo, si va delineando sempre di più un sentimento che pare remare in direzione contraria. Il progresso, la tecnologia, hanno di certo migliorato il nostro modo di vivere, ma hanno fatto anche ben altro. Due guerre mondiali (oltre a tante altre), persecuzioni, genocidi, violenze, bombe atomiche e incidenti nucleari, squilibri socio-economici... e chi più ne ha più ne metta... Una visione double face di un mondo spaccato tra fiducia ed orrore, tra futuri radiosi ed apocalissi, tra tecnofilia e tecnofobia... tra progresso e morti che camminano tra di noi.
Proprio in questo contesto la figura dello Zombie si distacca dalle sue appartenenze etnico-spirituali, legate alla cultura africana trapiantata ad Haiti, per diventare metafora tutta occidentale di una nuova degenerazione dell'individuo. Del resto in un mondo di contrasti irrisolti, cosa mai potrà competere con l'idea di un corpo senza anima che cammina sbilenco in cerca di cibo...ossimoro degli ossimori... perché è bene ricordarlo, la cultura occidentale mai e poi mai potrà rinnegare il suo rapporto con il Cristianesimo... e questo ci insegna fin troppo bene che sarà sempre l'anima a sopravvivere al corpo... mai viceversa! Portata rivoluzionariamente dissacrante... fascinosa forse anche per questo... lo Zombie si trasforma e si ritrasforma di continuo seguendo le evoluzioni/involuzioni del nostro mondo che sempre si è dilettato con i banchetti antropofagi (rimandi politico-economici del capitalismo e dei suoi orrori, ma prima ancora in maniera "sconcertante", anche cristiani. "Questo è il mio corpo. Prendetene e mangiatene tutti").
Come faremo dunque ad uscire dalla confusione? Come faremo ad orientarci in mezzo ad un'orda sempre crescente di morti viventi? Con calma, pazienza e spirito di osservazione (oltre ad un oggetto abbastanza robusto e adatto a mettere k.o. il cervellino dello Zombie che ci barcolla dietro!).
Se la modernità, abbiamo visto, si connota di un'insana dose di schizofrenia distruttrice/creatrice, le città ne sono una saggia prova... e l'essere cittadini nell'anno di grazie duemilaedodici è innanzitutto una condizione di schizofrenia costante, e antropofaga aggiungerei... (cane mangia cane? Uomo mangia uomo piuttosto). Ecco allora che forse lo Zombie come mito urbano prende forma: che altro sarebbe se non il cittadino nella sua forma più violenta, brutale e autodistruttiva? Deprivato di ogni razionalità, sopraffatto dalle sue fobie, dai suoi tormenti, dal suo ossimorico essere capitalista, antropofago e fratricida. Lo Zombie è il mito del quotidiano orrore contemporaneo, ne è la perfetta incarnazione.
Metafora di una società intera che si burla nell'immaginare la sua apoteosi (o la sua fine definitiva... come preferite) in modi sempre nuovi e creativi... un'apoteosi/apocalisse già in atto... e senza voler deludere i catastrofisti per diletto o per professione, non sarà è lo tsunami, non è il big-one, il vulcano, l'asteroide, l'alieno, la peste o quant'altro si possa immaginare... no. Spiacente. La fine non sarà. La fine è già e cammina in mezzo a noi. Ha già anticipato ogni più rosea visione apocalittica. I morti viventi camminano, e la fine della nostra società, almeno così come l'abbiamo costruita a partire dalla Mesopotamia, si configura ben al di qua dell'orizzonte. Da troppo tempo abbiamo smesso di essere umani, da troppo tempo ci siamo privati di ogni forma di razionalità, di ogni forma di civiltà. Il nostro essere zoon politikon è solo un ricordo di tempi passati che tiriamo in ballo di tanto in tanto giusto per rassicurarci. Gli Zombie camminano parallelamente ad ogni nostro passo. Gli Zombie siamo noi. Che vi piaccia o meno... lo Zombie altro non è che il nuovo agghiacciante stato della condizione umana contemporanea, di cui tutti noi, volenti o nolenti, siamo vittima.
Meglio dunque lasciare da parte per un attimo la fantasia... e cominciare a lavorare seriamente. Molte sono le cose da chiarire, perché forse solo la conoscenze ci salverà... forse... ma per il momento: bon appetit... les jeux sont faits...