L'abbiamo visto a più riprese, i legami fra lo Zombie e lo spazio sono molteplici. La sua presenza fisica sulla terra sconvolge il nostro mondo e la realtà fa buon uso dell'immaginario per spiegare se stessa. Cosi' ci troviamo di fronte con Romero alla sublimazione sociale della mostruosità... lo Zombie, lo abbiamo detto è innanzitutto la mostruosità della nostra società, il malessere collettivo che è dentro di noi e non all'esterno...
Ma glissando per un attimo il senso dell'interno e dell'esterno, ci rendiamo conto di come tutta la dialettica spaziale dello Zombie sia incentrata sul rapporto dentro e fuori, e di come, conseguentemente, la claustrofilia sia elemento chiave dello spazio...o meglio dello spazio di coloro i quali, almeno nelle intenzioni, sembrino rifiutarsi di diventare pasto succulento...ecco che dunque un altro elemento chiave della geografia antropofaga si va delineando: la segregazione
Partiamo dagli albori... La notte dei morti viventi (1968)vede i protagonisti trovare rifugio in una casa rurale... al piano terra Barbara e Ben, mentre nella cantina altri rifugiati condividono la stessa voglia di resistere, ma con forte disaccordo sulle modalità. Il contesto lo conosciamo bene: al di fuori gli Zombie cingeranno d'assedio la casa, contenitore di un lauto pasto... La sopravvivenza potrà avvenire solo dietro le mura, solo all'interno della fortezza... ma non basterà... lo sappiamo bene. Qualcosa andrà storto... in particolare mancherà l'accordo fra Ben che vuole difendere la casa al piano terra, cercando di tenersi sempre aperta una via di fuga, e invece Harry che ritiene la cantina più sicura.
Se gli Zombie nel loro pedissequo assedio, sono massa putrescente, informe, ma soprattutto coesa ed omogenea, i nostri omologhi non ancora morti fanno di tutto per separarsi, per mettere l'accento sulla propria individualità, e per agire ognuno come meglio crede... insomma il cervello funzionante sarebbe di per sé una gran belle cosa... meglio sarebbe pero' se funzionasse in sintonia con gli altri che si trovano attorno... Ci troviamo cosi' di fronte, non tanto ad un'opposizione lineare fra gli Zombie, che sono all'esterno, che assediano, e gli uomini che invece si ritrovano segregati in uno spazio chiuso, unica via per la sopravvivenza.
Piuttosto, se omogeneo è il campo d'azione degli Zombie, profondamente conflittuale è quello umano, che si trova frammentato in una doppia opposizione: il piano terra di Ben vs la cantina di Harry, entrambi comunque opposti all'invasione proveniente dall'esterno.
Il cinema romeriano, non vi è certo bisogno del sottoscritto per rimarcarlo, è una costante evoluzione, ma se vi è una costante, la possiamo di certo trovare in quanto sopra detto. Vediamo.
Secondo capitolo della saga, forse uno dei meglio riusciti... Zombi del 1978 (Dawn of the Dead)... e qui lo scenario si allarga... lo Zombie dilaga... esce dal microcosmo dell'America (non troppo) rurale per invadere le città... l'emergenza è nazionale. Sono quattro i protagonisti, e a bordo di un elicottero lasciano la città in piena debacle per cercare un luogo sicuro in cui rifugiarsi... Ancora muri e barriere dunque... la sopravvivenza dipenderà ancora una volta da un'auto-segregazione necessaria. Ai quattro sembra andare piuttosto bene... la sceneggiatura romeriana, vero e proprio pamphlet anti-consumista offre ai rifugiati il paradiso tra le quattro mura... quelle di un centro commerciale intonso, prigione dorata per sfogare ogni più remota perversione consumistica. Che cos'era in fondo la libertà nell'America degli anni settanta se non un'assoluta spinta al consumo?
Altro che beat generation e figli dei fiori... e gli ex-uomini, antropofagi, quasi in preda ad una reminiscenza pre-mortem, non esitano a cingere d'assedio il rifugio dei balocchi; "era un luogo importante per loro" dice uno dei protagonisti. Ciò che resta è comunque l'elemento della segregazione: come nel primo capitolo, gli uomini sono confinati ai margini di uno spazio chiuso... il ruolo di dominatore del pianeta non è più roba da umani... come nel passato della nostra storia il muro diventa cardine di ogni insediamento umano. Ma l'eden del feticismo consumistico non durerà in eterno... e non saranno gli Zombie a vincere l'assedio... non ci saranno cavalli di Troia... sarà ancora una volta l'uomo contro uomo che sancirà la sconfitta.... sarà l'incapacità di lottare insieme, di elaborare strategie comuni, di pensare collettivamente e non individualmente... un gruppo di saccheggiatori spalancherà le porte sbarrate, permettendo alle creature antropofaghe di soddisfare le proprie pulsioni di consumo indiscriminato... i nostri amici... non più quattro, ma due... fuggiranno in elicottero... come a simbolizzare una disattesa ricerca di libertà... Finale aperto, come tutti quelli di Romero.
Copione che si ripete con modalità diverse qualche anno dopo con Il giorno degli Zombie (1985). La critica al consumismo lascia il posto in favore di un anti-militarismo radicale (in piena vague anti-reganiana), di cui Romero aveva già dato prova in La città verrà distrutta all'alba, secondo titolo di Romero, di poco successivo alla Notte.
Il mondo è indiscutibilmente Zombificato... le città sono deserte e i superstiti sono segregati nelle profondità di un bunker militare. Anche qui... spazio angusto, muri, e addirittura sottosuolo... Se l'uomo perde il suo ruolo di dominatore del pianeta... beh... questa pellicola è apoteosi.
Di tutte le opere romeriane questa è senza dubbio la più claustrofobica, la sequenza onirica dell'inizio è in tal senso emblematica, oltre che indiscutibilmente suggestiva. Ma il carattere profondamente politico del cinema romeriano non si ferma certo qui, e come nei precedenti capitoli, non saranno gli Zombie a vincere per loro merito. All'interno del bunker due gruppi ben distinti vivono in permanente conflitto: civili e militari; questi ultimi violenti, rozzi e profondamente intolleranti. L'omogeneità antropofaga dunque contrapposta ancora una volta agli uomini, sempre incapaci di trovare coesione e unità di intenti. Il rifugio verrà ancora una volta violato, e coloro che sopravviveranno fuggiranno via con le stesse modalità del capitolo precedente: un elicottero che si leva in cielo, un instancabile desiderio di libertà.
Infine forse il vero ed indiscutibile capolavoro romeriano: La terra dei morti viventi (2005). In altre occasioni potremmo parlare dell'opera della maturità, il punto massimo dell'estetica romeriana. Ben lungi da cercare unanime approvazione (ognuno è libero di preferire diversamente), resta un dato fuor di dubbio: il carattere profondamente politico del cinema romeriano raggiunge senza dubbio il suo massimo, nell'efficacia e nella varietà dei suoi propositi. Non è un caso il cambiamento di dimensione del titolo. Da "notte", "alba", "giorno" non si è passati ad un improbabile "meriggio dei morti viventi"... il tempo lascia il posto allo spazio, e per chi come me si propone di riflettere su una geografia dello Zombie... beh... questo slittamento è oro colato.
Limitiamoci comunque a ciò che ci interessa, lasciamoci per dopo altre considerazioni. Il mondo è definitivamente terra dei morti, indiscutibilmente. Lo Zombie è una realtà con la quale convivere. Che ne è di noi poveri umani? Il centro di una città diviene il nostro castello, la nostra rocca, il nostro luogo sicuro in cui vivere; protetti da mura, griglie, soldati e un fiume, gli umani ricreano il loro mondo nuovo... l'enclave all'interno di una terra sconfinata di morti viventi... già... mondo nuovo, regole vecchie... Proprio come nell'alto medioevo, quando le città, causa istituzioni politiche effimere, barbari, insicurezza, mancanza di legge, si spopolavano in favore dei castelli, dei borghi fortificati, qui l'uomo sopravvive al riparo delle mura, ai piedi del Fiddler's Green, il regno del signore e padrone e dei suoi accoliti... sopravvissuti opulenti e privilegiati... che consumano nostalgicamente beni di lusso della pre-epidemia. Che ne è di tutti gli altri, che pur vivono al sicuro della cittadella? Come nel medievo, l'incolumità ha un prezzo, quello della libertà.
Si chiamavano spesso servi della gleba, e qui ci si avvicina molto... La terra dei morti viventi, metafora delle gated communities (e di tanto altro), presenta un mondo regredito al medioevo, in cui un castello fortificato, una cittadella si oppone ad un mondo senza legge e senza vita, che viene utilizzato per depredarlo di tutto quanto può essere ancora utile. Ma al suo interno, vige una fortissima divisione in classi... se i ricchi abitano il centro, gli appartamenti di lusso, il centro commerciale, se pochi possiedono tutto, il resto degli abitanti sono relegati al margine, alla miseria, alla sussistenza, alla subordinazione ad un ordine iniquo... intrattenuti a panem et circenses con fiere (dal colorito sapore medievale), gioco d'azzardo e spettacolini di dubbio gusto... briciole... in mezzo i capitani, i cavalieri, depositari armati dell'ordine costituito.
Ancora una volta, e forse al massimo grado, un mondo segregato, e allo stesso tempo fortemente frammentato... nel quale gli Zombie giocheranno un ruolo fondamentale... che segnerà la fine del dominio dei pochi sui molti; gli Zombie saranno la chiave della rivoluzione, nella loro conquista del centro, guidati per la prima volta da un leader, si ciberanno dell'opulenza, dei ricchi padroni, che da consumatori diverranno oggetto di consumo... Gli Zombie approfittano ancora una volta del non senso umano, dell'ingiustizia, dell'iniquità e della divisione... opponendo ancora una volta la loro coesione, la loro unità di intenti... che li porterà a varcare il Rubicone che segna il confine fra umano e non umano. Ma l'attacco non sarà fatale, al contrario... gli uomini sopravviveranno... soprattutto coloro che erano ai margini... capaci finalmente, grazie ad un insperato aiuto, di gettare le basi di un mondo più giusto...fino a quel momento velleità rivoluzionaria, impossibile a mettere in atto senza un aiuto esterno... Gli Zombie, dal canto loro, sazi, interromperanno la loro scorreria... e andranno per la loro strada. Per la prima volta qui si delinea una sorta di convivenza, un progetto di un mondo (con)diviso, in cui spazio sufficiente sembra esserci per entrambi.
Dunque, si delinea qui uno spazio segregato, diviso al proprio interno, che viene violato dall'istinto antropofago, le cui conseguenze pero', hanno tutta l'aria di una rivoluzione sociale in piena regole... Ciò che Romero ci propone, magistralmente e con fortissima audacia, è una sorta di alleanza fra diseredati, fra esclusi del sistema che trovano la loro rivincita, chi in un senso, chi in un altro. Il finale pero' mostra sempre il profondo stile romeriano: se il gruppo di sopravvissuti si accinge a fondare una nuova società più giusta ed equa, Reilly e i suoi amici (i protagonisti) preferiscono ancora una volta la fuga solitaria, all'orizzonte dell'alba di un nuovo giorno... il giorno di un improbabile mondo senza muri e barriere.
Cosa ne deduciamo dunque? Qual'è il nocciolo della geografia romeriana?
Ciò che Romero a più riprese ci dice è che l'uomo perde il suo ruolo di dominatore del pianeta, il prezzo della sua sopravvivenza è la segregazione, il muro, la barriera... la libertà non appartiene più agli umani. Ma molto più di questo... nel loro essere segregati, i sopravvissuti fanno di tutto per soccombere. Se gli Zombie sono una massa coesa ed omogenea, se le loro azioni sono frutto di una comunità di pratiche ed intenti, gli uomini al contrario sembrano costantemente occupati a lottare più per la leadership interna che per la sopravvivenza, generando contrasti, spesso insanabili, che hanno comunque tutti il medesimo risultato: la sconfitta, la vittoria dei non-morti, la violazione dello spazio.
L'uomo soccombe non per un merito particolare di quello che dovrebbe essere il suo avversario, ma per la sua ontologica autodistruzione, per la sua mancanza di coesione, per il suo essere inguaribilmente individualista, per il suo voler sempre e comunque ragionare in termini di vantaggio personale piuttosto che collettivo.
Bella fantasia dunque quella romeriana... già... fantasia... come se davvero le gated communities, i muri, le barriere, le frontiere, i confini, le prigioni, i C.P.T., non esistessero davvero... come se il mondo non fosse per davvero un grande, grandissimo Fiddler's green... in cui pochi hanno tutto, mentre agli altri, ai molti, toccano le briciole (o a volte neanche quelle, perché oltre il Fiddler's Green esiste un livello ancora più grande di ingiustizia). Già, frutto della fantasia perversamente gore, di un autore a metà fra horror e fantascienza... lungi dalla perfezione del mondo in cui viviamo, senza muri e frontiere, senza ghetti... Senza Gaza e senza periferie...
Evadiamo in peggio... ritorniamo a vivere una botta di realtà... politica e sociale come non mai Romero ce ne darà l'occasione... se e soltanto se troveremo la capacità di scegliere la giusta lente con la quale assistere alla sua commedia umana...
Se vi siete persi gli approfondimenti precedenti di Geo-Zombia:
Ma glissando per un attimo il senso dell'interno e dell'esterno, ci rendiamo conto di come tutta la dialettica spaziale dello Zombie sia incentrata sul rapporto dentro e fuori, e di come, conseguentemente, la claustrofilia sia elemento chiave dello spazio...o meglio dello spazio di coloro i quali, almeno nelle intenzioni, sembrino rifiutarsi di diventare pasto succulento...ecco che dunque un altro elemento chiave della geografia antropofaga si va delineando: la segregazione
Partiamo dagli albori... La notte dei morti viventi (1968)vede i protagonisti trovare rifugio in una casa rurale... al piano terra Barbara e Ben, mentre nella cantina altri rifugiati condividono la stessa voglia di resistere, ma con forte disaccordo sulle modalità. Il contesto lo conosciamo bene: al di fuori gli Zombie cingeranno d'assedio la casa, contenitore di un lauto pasto... La sopravvivenza potrà avvenire solo dietro le mura, solo all'interno della fortezza... ma non basterà... lo sappiamo bene. Qualcosa andrà storto... in particolare mancherà l'accordo fra Ben che vuole difendere la casa al piano terra, cercando di tenersi sempre aperta una via di fuga, e invece Harry che ritiene la cantina più sicura.
Se gli Zombie nel loro pedissequo assedio, sono massa putrescente, informe, ma soprattutto coesa ed omogenea, i nostri omologhi non ancora morti fanno di tutto per separarsi, per mettere l'accento sulla propria individualità, e per agire ognuno come meglio crede... insomma il cervello funzionante sarebbe di per sé una gran belle cosa... meglio sarebbe pero' se funzionasse in sintonia con gli altri che si trovano attorno... Ci troviamo cosi' di fronte, non tanto ad un'opposizione lineare fra gli Zombie, che sono all'esterno, che assediano, e gli uomini che invece si ritrovano segregati in uno spazio chiuso, unica via per la sopravvivenza.
Piuttosto, se omogeneo è il campo d'azione degli Zombie, profondamente conflittuale è quello umano, che si trova frammentato in una doppia opposizione: il piano terra di Ben vs la cantina di Harry, entrambi comunque opposti all'invasione proveniente dall'esterno.
Il cinema romeriano, non vi è certo bisogno del sottoscritto per rimarcarlo, è una costante evoluzione, ma se vi è una costante, la possiamo di certo trovare in quanto sopra detto. Vediamo.
Secondo capitolo della saga, forse uno dei meglio riusciti... Zombi del 1978 (Dawn of the Dead)... e qui lo scenario si allarga... lo Zombie dilaga... esce dal microcosmo dell'America (non troppo) rurale per invadere le città... l'emergenza è nazionale. Sono quattro i protagonisti, e a bordo di un elicottero lasciano la città in piena debacle per cercare un luogo sicuro in cui rifugiarsi... Ancora muri e barriere dunque... la sopravvivenza dipenderà ancora una volta da un'auto-segregazione necessaria. Ai quattro sembra andare piuttosto bene... la sceneggiatura romeriana, vero e proprio pamphlet anti-consumista offre ai rifugiati il paradiso tra le quattro mura... quelle di un centro commerciale intonso, prigione dorata per sfogare ogni più remota perversione consumistica. Che cos'era in fondo la libertà nell'America degli anni settanta se non un'assoluta spinta al consumo?
Altro che beat generation e figli dei fiori... e gli ex-uomini, antropofagi, quasi in preda ad una reminiscenza pre-mortem, non esitano a cingere d'assedio il rifugio dei balocchi; "era un luogo importante per loro" dice uno dei protagonisti. Ciò che resta è comunque l'elemento della segregazione: come nel primo capitolo, gli uomini sono confinati ai margini di uno spazio chiuso... il ruolo di dominatore del pianeta non è più roba da umani... come nel passato della nostra storia il muro diventa cardine di ogni insediamento umano. Ma l'eden del feticismo consumistico non durerà in eterno... e non saranno gli Zombie a vincere l'assedio... non ci saranno cavalli di Troia... sarà ancora una volta l'uomo contro uomo che sancirà la sconfitta.... sarà l'incapacità di lottare insieme, di elaborare strategie comuni, di pensare collettivamente e non individualmente... un gruppo di saccheggiatori spalancherà le porte sbarrate, permettendo alle creature antropofaghe di soddisfare le proprie pulsioni di consumo indiscriminato... i nostri amici... non più quattro, ma due... fuggiranno in elicottero... come a simbolizzare una disattesa ricerca di libertà... Finale aperto, come tutti quelli di Romero.
Copione che si ripete con modalità diverse qualche anno dopo con Il giorno degli Zombie (1985). La critica al consumismo lascia il posto in favore di un anti-militarismo radicale (in piena vague anti-reganiana), di cui Romero aveva già dato prova in La città verrà distrutta all'alba, secondo titolo di Romero, di poco successivo alla Notte.
Il mondo è indiscutibilmente Zombificato... le città sono deserte e i superstiti sono segregati nelle profondità di un bunker militare. Anche qui... spazio angusto, muri, e addirittura sottosuolo... Se l'uomo perde il suo ruolo di dominatore del pianeta... beh... questa pellicola è apoteosi.
Di tutte le opere romeriane questa è senza dubbio la più claustrofobica, la sequenza onirica dell'inizio è in tal senso emblematica, oltre che indiscutibilmente suggestiva. Ma il carattere profondamente politico del cinema romeriano non si ferma certo qui, e come nei precedenti capitoli, non saranno gli Zombie a vincere per loro merito. All'interno del bunker due gruppi ben distinti vivono in permanente conflitto: civili e militari; questi ultimi violenti, rozzi e profondamente intolleranti. L'omogeneità antropofaga dunque contrapposta ancora una volta agli uomini, sempre incapaci di trovare coesione e unità di intenti. Il rifugio verrà ancora una volta violato, e coloro che sopravviveranno fuggiranno via con le stesse modalità del capitolo precedente: un elicottero che si leva in cielo, un instancabile desiderio di libertà.
Infine forse il vero ed indiscutibile capolavoro romeriano: La terra dei morti viventi (2005). In altre occasioni potremmo parlare dell'opera della maturità, il punto massimo dell'estetica romeriana. Ben lungi da cercare unanime approvazione (ognuno è libero di preferire diversamente), resta un dato fuor di dubbio: il carattere profondamente politico del cinema romeriano raggiunge senza dubbio il suo massimo, nell'efficacia e nella varietà dei suoi propositi. Non è un caso il cambiamento di dimensione del titolo. Da "notte", "alba", "giorno" non si è passati ad un improbabile "meriggio dei morti viventi"... il tempo lascia il posto allo spazio, e per chi come me si propone di riflettere su una geografia dello Zombie... beh... questo slittamento è oro colato.
Limitiamoci comunque a ciò che ci interessa, lasciamoci per dopo altre considerazioni. Il mondo è definitivamente terra dei morti, indiscutibilmente. Lo Zombie è una realtà con la quale convivere. Che ne è di noi poveri umani? Il centro di una città diviene il nostro castello, la nostra rocca, il nostro luogo sicuro in cui vivere; protetti da mura, griglie, soldati e un fiume, gli umani ricreano il loro mondo nuovo... l'enclave all'interno di una terra sconfinata di morti viventi... già... mondo nuovo, regole vecchie... Proprio come nell'alto medioevo, quando le città, causa istituzioni politiche effimere, barbari, insicurezza, mancanza di legge, si spopolavano in favore dei castelli, dei borghi fortificati, qui l'uomo sopravvive al riparo delle mura, ai piedi del Fiddler's Green, il regno del signore e padrone e dei suoi accoliti... sopravvissuti opulenti e privilegiati... che consumano nostalgicamente beni di lusso della pre-epidemia. Che ne è di tutti gli altri, che pur vivono al sicuro della cittadella? Come nel medievo, l'incolumità ha un prezzo, quello della libertà.
Si chiamavano spesso servi della gleba, e qui ci si avvicina molto... La terra dei morti viventi, metafora delle gated communities (e di tanto altro), presenta un mondo regredito al medioevo, in cui un castello fortificato, una cittadella si oppone ad un mondo senza legge e senza vita, che viene utilizzato per depredarlo di tutto quanto può essere ancora utile. Ma al suo interno, vige una fortissima divisione in classi... se i ricchi abitano il centro, gli appartamenti di lusso, il centro commerciale, se pochi possiedono tutto, il resto degli abitanti sono relegati al margine, alla miseria, alla sussistenza, alla subordinazione ad un ordine iniquo... intrattenuti a panem et circenses con fiere (dal colorito sapore medievale), gioco d'azzardo e spettacolini di dubbio gusto... briciole... in mezzo i capitani, i cavalieri, depositari armati dell'ordine costituito.
Ancora una volta, e forse al massimo grado, un mondo segregato, e allo stesso tempo fortemente frammentato... nel quale gli Zombie giocheranno un ruolo fondamentale... che segnerà la fine del dominio dei pochi sui molti; gli Zombie saranno la chiave della rivoluzione, nella loro conquista del centro, guidati per la prima volta da un leader, si ciberanno dell'opulenza, dei ricchi padroni, che da consumatori diverranno oggetto di consumo... Gli Zombie approfittano ancora una volta del non senso umano, dell'ingiustizia, dell'iniquità e della divisione... opponendo ancora una volta la loro coesione, la loro unità di intenti... che li porterà a varcare il Rubicone che segna il confine fra umano e non umano. Ma l'attacco non sarà fatale, al contrario... gli uomini sopravviveranno... soprattutto coloro che erano ai margini... capaci finalmente, grazie ad un insperato aiuto, di gettare le basi di un mondo più giusto...fino a quel momento velleità rivoluzionaria, impossibile a mettere in atto senza un aiuto esterno... Gli Zombie, dal canto loro, sazi, interromperanno la loro scorreria... e andranno per la loro strada. Per la prima volta qui si delinea una sorta di convivenza, un progetto di un mondo (con)diviso, in cui spazio sufficiente sembra esserci per entrambi.
Dunque, si delinea qui uno spazio segregato, diviso al proprio interno, che viene violato dall'istinto antropofago, le cui conseguenze pero', hanno tutta l'aria di una rivoluzione sociale in piena regole... Ciò che Romero ci propone, magistralmente e con fortissima audacia, è una sorta di alleanza fra diseredati, fra esclusi del sistema che trovano la loro rivincita, chi in un senso, chi in un altro. Il finale pero' mostra sempre il profondo stile romeriano: se il gruppo di sopravvissuti si accinge a fondare una nuova società più giusta ed equa, Reilly e i suoi amici (i protagonisti) preferiscono ancora una volta la fuga solitaria, all'orizzonte dell'alba di un nuovo giorno... il giorno di un improbabile mondo senza muri e barriere.
Cosa ne deduciamo dunque? Qual'è il nocciolo della geografia romeriana?
Ciò che Romero a più riprese ci dice è che l'uomo perde il suo ruolo di dominatore del pianeta, il prezzo della sua sopravvivenza è la segregazione, il muro, la barriera... la libertà non appartiene più agli umani. Ma molto più di questo... nel loro essere segregati, i sopravvissuti fanno di tutto per soccombere. Se gli Zombie sono una massa coesa ed omogenea, se le loro azioni sono frutto di una comunità di pratiche ed intenti, gli uomini al contrario sembrano costantemente occupati a lottare più per la leadership interna che per la sopravvivenza, generando contrasti, spesso insanabili, che hanno comunque tutti il medesimo risultato: la sconfitta, la vittoria dei non-morti, la violazione dello spazio.
L'uomo soccombe non per un merito particolare di quello che dovrebbe essere il suo avversario, ma per la sua ontologica autodistruzione, per la sua mancanza di coesione, per il suo essere inguaribilmente individualista, per il suo voler sempre e comunque ragionare in termini di vantaggio personale piuttosto che collettivo.
Bella fantasia dunque quella romeriana... già... fantasia... come se davvero le gated communities, i muri, le barriere, le frontiere, i confini, le prigioni, i C.P.T., non esistessero davvero... come se il mondo non fosse per davvero un grande, grandissimo Fiddler's green... in cui pochi hanno tutto, mentre agli altri, ai molti, toccano le briciole (o a volte neanche quelle, perché oltre il Fiddler's Green esiste un livello ancora più grande di ingiustizia). Già, frutto della fantasia perversamente gore, di un autore a metà fra horror e fantascienza... lungi dalla perfezione del mondo in cui viviamo, senza muri e frontiere, senza ghetti... Senza Gaza e senza periferie...
Evadiamo in peggio... ritorniamo a vivere una botta di realtà... politica e sociale come non mai Romero ce ne darà l'occasione... se e soltanto se troveremo la capacità di scegliere la giusta lente con la quale assistere alla sua commedia umana...
Se vi siete persi gli approfondimenti precedenti di Geo-Zombia: