Ed eccoci giunti alla fine di questa seconda stagione di In the Flesh, la splendida serie britannica. Com'è andata? Ha mantenuto le premesse di un finale con il botto? Seguiteci dopo il salto e vi diremo la nostra.
E' finita da poco e già mi manca. L'idea che non la rivedrò per un po', se i signori di BBC Three la rinnoveranno, o addirittura per sempre, se i signori di prima non lo faranno, è quasi devastante. Ed ecco che già potete capire, da questa introduzione, cosa penso del finale di In the Flesh e dell'intera seconda stagione. Semplicemente meraviglioso!
Mi sono trovata a piangere come una cretina davanti al pc per il funerale di Amy, a maledire Maxime per avere ri-ucciso Amy ed avere spezzato il cuore a Kieren ed a Philip, che ho imparato ad amare molto, a complimentarmi con i genitori di Kieren per averlo accettato così com'è, a gioire dei grossi passi avanti fatti da Kieren.
Certo, quelle che avrebbero dovuto essere le sorprese finali erano state già fatte capire da un po'. La storia della resurrezione del fratellino di Maxime si era capita da almeno due puntate. Ma il clou, quello che mi ha aperto il cuore e, secondo, me, ha messo delle splendide premesse per un'eventuale terza stagione (che, ribadisco, "s'ha da fare") è la storia di Amy.
Lei sì che è veramente risorta, in ogni senso: è tornata alla vita nella sua totalità, persino il cuore ha ricominciato a batterle e, soprattutto, è la prima risorta di Roarton. A questo punto rimane una grossa domanda in sospeso: il farmaco è il responsabile di questo "miracolo"? E allora queste persone sono state "rilasciate" nel mondo prima di verificare veramente cosa sarebbe potuto succedere loro? O qualcosa d'altro le fa tornare ad essere vive? Visto il finale aperto di questa stagione, credo che la prossima potrebbe esplorare le attività di Halperin e Weston, la grossa industria farmaceutica che produce il farmaco per i malati della Sindrome di Morte Apparente.
E la cosa non mi sorprenderebbe più di tanto, visto la tendenza degli autori della serie ad usarla per parlare di argomenti anche scottanti, come la politica, l'accettazione del "diverso" nella nostra società, le relazioni tra i figli che crescono ed i loro genitori, l'accettazione di sè stessi così come si è, la religione e la sua capacità persuasiva. Quindi perchè non parlare anche delle multinazionali del farmaco che controllano le cure per malattie anche gravi, non sempre onestamente e con intenti umanitari?
E che dire dei cambiamenti di Kieren, il nostro protagonista? Lenti, ma costanti ed innarrestabili. Da ragazzo timido, introverso ed anti-eroe per eccellenza, a persona consapevole di ciò che è e di ciò che vuole essere. Solo su una cosa Kieren non è mai cambiato, la volontà di non fare male mai a nessuno. Per questo riesce a resistere al Blue Oblivion ed a non fare del male a suo padre. Per lui fare male agli altri è qualcosa di inconcepibile, e quell'idea di libertà che per alcuni "malati" rappresenta l'essere rabbioso e quindi non pensare, non avere principi morali a fermarti, per Kieren è invece una forma di tortura, una non-vita vera e reale, peggio di quella che sta vivendo adesso (così come lo è per Amy, non a caso sono molto amici). Quindi non cede alla droga e, verso la fine, comincia anche a manifestare i sintomi del ritorno alla vita che aveva Amy.
Che enorme contrasto tra Kieren e Gary nel loro scontro: Kieren onesto, aperto, tranquillo, sicuro di sè; Gary violento, pieno di pregiudizi e disposto a tutto per mantenerli, anche a drogare Kieren in mezzo alle persone che dovrebbe proteggere. La forza di Kieren è e sempre sarà la sua calma, il suo sapere ciò che è giusto e ciò che non lo è e il non deragliare mai da questi suoi principi.
E' così forte da riuscire a farlo capire anche ai suoi genitori ed a sua sorella, che finalmente gli chiede aiuto, lasciando Gary al suo destino.
Anche il rapporto tra genitori e figli è meravigliosamente esplicato. I genitori di Kieren, dopo l'iniziale incomprensione ed accettazione di Kieren nella sua intierezza, sia come gay che come "malato", capiscono e rischiano tutto, il padre anche la vita, in nome dell'amore per il loro figlio. Arrivano ad accettare anche il suo rapporto con Simon, solo agli inizi ma promettente, visto a cosa rinuncia Simon per salvare Kieren. E che dire della meravigliosa madre di Philip? Ecco perchè il figlio ama Amy e lo dichiara al mondo intero. Come potrebbe essere diversamente, vista la madre che lo ha cresciuto e che gli fa i complimenti per la scelta della fidanzata davanti a tutto il paese?
E finalmente tutti hanno compreso quanto Maxime ed il suo partito usino la paura nel diverso per stimolare l'odio ed ottenere i loro propositi. Certo non tutti vivranno felici e contenti. La patina di finta accettazione a Roarton è risalita al suo posto, come si vede dalla scena finale nel bar. Ma stavolta anche i "malati" si mettono sulle loro barricate e sarà interessante vedere come andrà a finire.
In generale, comunque, una stagione ben fatta e che ha mantenuto le premesse fatte con la prima stagione. Certo avendo a disposizione sei puntate invece che tre, gli autori hanno buttato tanta carne al fuoco e non tutta è riuscita proprio bene (parlo soprattutto della terza puntata). Ma sono piccole banalità che scompaiono dinnanzi alla magnifica rappresentazione dei personaggi principali, alla denuncia sempre presente nella serie per le ingiustizie quotidiane della nostra società, alla magnifica regia, all'altrettanto magnifica fotografia e scenografia e alla splendida e mai sopra le righe interpretazione degli attori principali, soprattutto per quanto riguarda Luke Newberry ed Emily Bevan. Non per niente la serie ha vinto quest'anno l'importante premio Bafta, gli Emmy inglesi, come miglior serie britannica.
Un'ultima speranza personale. Amy non può essere veramente morta-morta. Lei è l'amica non-morta di Kieren per sempre e così la considero anch'io e, credo, molti spettatori. Quindi forza con la terza stagione e ridateci Amy!
In the Flesh: un banner creato per la serie dal canale BBC Three
E' finita da poco e già mi manca. L'idea che non la rivedrò per un po', se i signori di BBC Three la rinnoveranno, o addirittura per sempre, se i signori di prima non lo faranno, è quasi devastante. Ed ecco che già potete capire, da questa introduzione, cosa penso del finale di In the Flesh e dell'intera seconda stagione. Semplicemente meraviglioso!
Mi sono trovata a piangere come una cretina davanti al pc per il funerale di Amy, a maledire Maxime per avere ri-ucciso Amy ed avere spezzato il cuore a Kieren ed a Philip, che ho imparato ad amare molto, a complimentarmi con i genitori di Kieren per averlo accettato così com'è, a gioire dei grossi passi avanti fatti da Kieren.
Certo, quelle che avrebbero dovuto essere le sorprese finali erano state già fatte capire da un po'. La storia della resurrezione del fratellino di Maxime si era capita da almeno due puntate. Ma il clou, quello che mi ha aperto il cuore e, secondo, me, ha messo delle splendide premesse per un'eventuale terza stagione (che, ribadisco, "s'ha da fare") è la storia di Amy.
Lei sì che è veramente risorta, in ogni senso: è tornata alla vita nella sua totalità, persino il cuore ha ricominciato a batterle e, soprattutto, è la prima risorta di Roarton. A questo punto rimane una grossa domanda in sospeso: il farmaco è il responsabile di questo "miracolo"? E allora queste persone sono state "rilasciate" nel mondo prima di verificare veramente cosa sarebbe potuto succedere loro? O qualcosa d'altro le fa tornare ad essere vive? Visto il finale aperto di questa stagione, credo che la prossima potrebbe esplorare le attività di Halperin e Weston, la grossa industria farmaceutica che produce il farmaco per i malati della Sindrome di Morte Apparente.
E la cosa non mi sorprenderebbe più di tanto, visto la tendenza degli autori della serie ad usarla per parlare di argomenti anche scottanti, come la politica, l'accettazione del "diverso" nella nostra società, le relazioni tra i figli che crescono ed i loro genitori, l'accettazione di sè stessi così come si è, la religione e la sua capacità persuasiva. Quindi perchè non parlare anche delle multinazionali del farmaco che controllano le cure per malattie anche gravi, non sempre onestamente e con intenti umanitari?
E che dire dei cambiamenti di Kieren, il nostro protagonista? Lenti, ma costanti ed innarrestabili. Da ragazzo timido, introverso ed anti-eroe per eccellenza, a persona consapevole di ciò che è e di ciò che vuole essere. Solo su una cosa Kieren non è mai cambiato, la volontà di non fare male mai a nessuno. Per questo riesce a resistere al Blue Oblivion ed a non fare del male a suo padre. Per lui fare male agli altri è qualcosa di inconcepibile, e quell'idea di libertà che per alcuni "malati" rappresenta l'essere rabbioso e quindi non pensare, non avere principi morali a fermarti, per Kieren è invece una forma di tortura, una non-vita vera e reale, peggio di quella che sta vivendo adesso (così come lo è per Amy, non a caso sono molto amici). Quindi non cede alla droga e, verso la fine, comincia anche a manifestare i sintomi del ritorno alla vita che aveva Amy.
Che enorme contrasto tra Kieren e Gary nel loro scontro: Kieren onesto, aperto, tranquillo, sicuro di sè; Gary violento, pieno di pregiudizi e disposto a tutto per mantenerli, anche a drogare Kieren in mezzo alle persone che dovrebbe proteggere. La forza di Kieren è e sempre sarà la sua calma, il suo sapere ciò che è giusto e ciò che non lo è e il non deragliare mai da questi suoi principi.
E' così forte da riuscire a farlo capire anche ai suoi genitori ed a sua sorella, che finalmente gli chiede aiuto, lasciando Gary al suo destino.
Anche il rapporto tra genitori e figli è meravigliosamente esplicato. I genitori di Kieren, dopo l'iniziale incomprensione ed accettazione di Kieren nella sua intierezza, sia come gay che come "malato", capiscono e rischiano tutto, il padre anche la vita, in nome dell'amore per il loro figlio. Arrivano ad accettare anche il suo rapporto con Simon, solo agli inizi ma promettente, visto a cosa rinuncia Simon per salvare Kieren. E che dire della meravigliosa madre di Philip? Ecco perchè il figlio ama Amy e lo dichiara al mondo intero. Come potrebbe essere diversamente, vista la madre che lo ha cresciuto e che gli fa i complimenti per la scelta della fidanzata davanti a tutto il paese?
E finalmente tutti hanno compreso quanto Maxime ed il suo partito usino la paura nel diverso per stimolare l'odio ed ottenere i loro propositi. Certo non tutti vivranno felici e contenti. La patina di finta accettazione a Roarton è risalita al suo posto, come si vede dalla scena finale nel bar. Ma stavolta anche i "malati" si mettono sulle loro barricate e sarà interessante vedere come andrà a finire.
In generale, comunque, una stagione ben fatta e che ha mantenuto le premesse fatte con la prima stagione. Certo avendo a disposizione sei puntate invece che tre, gli autori hanno buttato tanta carne al fuoco e non tutta è riuscita proprio bene (parlo soprattutto della terza puntata). Ma sono piccole banalità che scompaiono dinnanzi alla magnifica rappresentazione dei personaggi principali, alla denuncia sempre presente nella serie per le ingiustizie quotidiane della nostra società, alla magnifica regia, all'altrettanto magnifica fotografia e scenografia e alla splendida e mai sopra le righe interpretazione degli attori principali, soprattutto per quanto riguarda Luke Newberry ed Emily Bevan. Non per niente la serie ha vinto quest'anno l'importante premio Bafta, gli Emmy inglesi, come miglior serie britannica.
Un'ultima speranza personale. Amy non può essere veramente morta-morta. Lei è l'amica non-morta di Kieren per sempre e così la considero anch'io e, credo, molti spettatori. Quindi forza con la terza stagione e ridateci Amy!